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Online il nuovo sito web Antitarli.it

Dopo una lunga fase di ristrutturazione è online il nostro nuovo portale dedicato alla cura del legno Antitarli.it

Perché è necessario prendersi
cura del legno

Il legno è un materiale che può essere caratterizzato da estrema durevolezza e resistenza a vari tipi di sollecitazioni ambientali, tanto che rappresenta da sempre un elemento di base di moltissimi manufatti. Tuttavia esso può essere soggetto a una degradazione ad opera di vari fattori, che ne determinano la durata e la rispondenza alle funzioni in relazioni alle quali è stato impiegato. Tale degradabilità dipende sostanzialmente dal fatto che, nonostante i suoi componenti principali (cellulosa, emicellulose e lignina) siano molto resistenti agli attacchi, il legno è formato, comunque, da sostanza organica che può costituire il substrato di sviluppo di altri organismi.

Un attacco da parte di insetti xilofagi determina, di conseguenza, un cambiamento delle caratteristiche tecnologiche del legno, di portata spesso non proporzionale all’entità della massa legnosa attaccata; è intuibile, infatti, che se un insetto scava una galleria in una parte della sezione di una struttura portante (esempio: una trave), la mancanza di connessione delle fibre legnose in quel breve tratto avrà ripercussione lungo tutta la struttura nella parte di sezione corrispondente.

Perché occorre prestare attenzione

I tarli e le termiti, in quanto insetti che si nutrono del legno, non attaccano l’uomo.
Gli Acari come Pyemotes e i Betilidi come Scleroderma, invece, quando non trovano sufficienti insetti xilofagi (tarli) da parassitare, possono attaccare l’uomo.

Proteggi la tua casa

Giornata Mondiale della Zanzara

Il 20 Agosto di ogni anno, si celebra il World Mosquito Day, per ricordare il legame dell’uomo con l’animale che, in via indiretta, causa più morti in assoluto ogni anno.

In particolare, la giornata è stata istituita per ricordare la scoperta di Sir Ronald Ross, un medico britannico, che per primo riuscì a dimostrare le intuizioni di un altro medico, Patrick Manson, relativamente alla capacità di trasmissione della parassitosi più letale in assoluto, la Malaria, attraverso la puntura di zanzara.

Studiando la malaria degli uccelli (malaria aviaria), nel 1898 scoprì che l’agente eziologico venne trasmesso dalla zanzara appartenente alla specie Culex pipiens. Ricostruì il ciclo vitale del parassita Plasmodium vivax, compreso il suo sviluppo nell’intestino e nelle ghiandole salivari della zanzara, scoprendo che quest’ultima poté trasmettere la malattia dagli uccelli infetti a quelli sani. Avanzò dunque l’ipotesi che la stessa fosse responsabile dell’infezione nell’uomo.

Nello stesso periodo un medico italiano, Giovanni Battista Grassi, autonomamente e indipendentemente da Ronald Ross, lavorò nella medesima direzione e tra il 1891 e il 1892 scoprì che il parassita della malaria degli uccelli era il Protosoma praecox, che somigliava molto al Plasmodium vivax. Nell’ambito dell’attività di ricerca, decise di ottenere un quadro completo delle relazioni esistenti tra la malaria e le zanzare; in primo luogo osservò che dove erano presenti casi di malaria vi erano anche zanzare ma anche che non in tutte le zone infestate da zanzare vi erano casi di malaria. Sulla base di tale osservazione arrivò alla conclusione che solo una specie particolare di zanzara doveva essere responsabile della trasmissione della malaria.

Dopo i risultati ottenuti da Ronald Ross a seguito degli studi preliminari compiuti in India (1897) sulla malaria umana e la dimostrazione sperimentale della trasmissione della malaria aviaria degli uccelli da Culex pipiens, Giovanni Battista Grassi, nel luglio del 1898 intraprese un ampio studio biogeografico che gli consentì di correlare la presenza della malaria negli esseri umani ad un genere particolare di zanzara, le Anopheles. Studiò il ciclo vitale del Plasmodio nell’uomo e nelle zanzare e nel novembre del 1898 realizzò sperimentalmente la trasmissione della malaria in un soggetto sano attraverso la puntura di Anopheles raccolte in aree malariche. L’anno successivo fu in grado di dimostrare che l’Anopheles si infetta quando punge un essere umano infetto e annunciò quella che venne chiamata La legge di Grassi: malaria= anofeli + esseri umani infetti.

Nel 1902, per la scoperta della modalità di trasmissione della malaria, venne insignito del Premio Nobel per la medicina Ronald Ross. Tale scelta non venne accettata da Grassi che per reazione decise di abbandonare gli studi sulla malaria e dedicarsi ad altri temi di ricerca.

Oltre alla malaria, è importante ricordare che le zanzare sono responsabili della trasmissione di numerose arbovirosi quali (a titolo di esempio) Dengue, West-Nile, Chikungunya e Zika mentre, contrariamente ad alcune ipotesi inizialmente diffuse, non hanno alcun ruolo nella trasmissione di SARS-CoV-2, il virus responsabile di Covid-19; l’agente eziologico non è in grado di replicarsi all’interno dell’organismo della zanzara e di conseguenza non può essere inoculato attraverso puntura in un soggetto sano.

Disinfezione con Ozono

Si fa un gran parlare, sul fronte disinfezioni, delle possibilità applicative dell’ozono e, più in generale, di tutti quei trattamenti che è possibile effettuare mediante la generazione in situ delle sostanze “sanitizzanti”.

Quali sono le informazioni in nostro possesso? È possibile applicare indiscriminatamente questi sistemi, o vi sono delle procedure ben precise?

L’ozono è una molecola costituita da tre atomi di ossigeno che la rendono, per questo, un prodotto dalle spiccate capacità ossidanti. Il Comitato nazionale sicurezza alimentare, con parere del 27 ottobre 2010, esprime giudizio favorevole alla ozonizzazione delle camere di stagionatura e/o degli ambienti di stoccaggio, purché in assenza di alimenti.

A livello industriale, l’ozono viene generato in situ mediante ozonizzatori, che devono essere adattati di volta in volta in relazione agli spazi (dimensioni, materiali coinvolti) e ai target. Le normative di riferimento, per i generatori di ozono, restano la Direttiva 2014/35/CE, 2014/30/CE e 2011/65/CE (RoHS), rispettivamente relative alla bassa tensione, compatibilità elettromagnetica e restrizione di sostanze pericolose.

L’ozono è oggi in fase di valutazione ai sensi del BPR (Reg. UE 528/2012) come disinfettante per le superfici (PT2 e PT4) e dell’acqua potabile (PT5) e per impiego nelle torri di raffreddamento degli impianti industriali (PT11). Successivamente all’eventuale approvazione della sostanza attiva, seguirà l’iter necessario per arrivare ad ottenere l’autorizzazione alla generazione in situ. Di conseguenza, attualmente l’ozono non può essere classificato come disinfettante.

È possibile parlare di igienizzazione, ma la commercializzazione in Italia come PMC con un claim disinfettante non è consentita, data l’impossibilità di individuare un sito specifico da autorizzare come previsto dalla normativa nazionale.

L’International Ozone Association ha recentemente pubblicato un documento inerente l’applicabilità dell’ozono ai fini del contenimento della pandemia da SARS-CoV-2. In tale documento, l’efficacia dell’ozono per l’inattivazione di molti virus è confermata, anche se non si è a conoscenza di ricerche specifiche su SARS-CoV-2.

Quello che sappiamo, è che le concentrazioni necessarie per ottenere una inattivazione completa dei virus sono molto più elevate di quelle ottenibili con normali strumenti da banco, utili in questo caso esclusivamente a completamento di un intervento di detersione e disinfezione già effettuato in ambienti confinati.

L’immissione di ozono, negli ambienti chiusi, è un processo che richiede il monitoraggio strumentale della concentrazione ideale del gas nell’ambiente in funzione dell’umidità e del tempo di azione. In generale, deve essere evitata la pratica di rientrare nelle aree trattate dopo un determinato periodo di tempo dalla fine dell’ozonizzazione.

Pertanto, prima di ricorrere all’utilizzo di tale sostanza per il trattamento dei locali, è necessario valutare il rischio di esposizione sia degli addetti alle operazioni di sanificazione, sia del personale che fruisce dei locali sanificati. Considerato che a concentrazioni inferiori a 2 ppm, l’ozono ha un odore caratteristico piacevole che diventa pungente e irritante a livelli superiori, e che è riconoscibile già a concentrazioni molto ridotte (0,05 ppm), i soggetti potenzialmente esposti sono preavvertiti rispetto al raggiungimento di concentrazioni elevate e potenzialmente dannose per la salute. L’odore non costituisce, comunque, un indice attendibile della concentrazione presente nell’aria a causa dei fenomeni di assuefazione. Gli operatori devono quindi essere formati ed esperti, oltre che provvisti di idonei dispositivi di protezione individuale (DPI). Alla luce di quanto sopra, non è pertanto indicato per uso domestico.

Per tutte le ragioni esposte in precedenza, deve essere ben valutato anche l’aspetto relativo al recupero del credito di imposta previsto dal Decreto Rilancio (DL 34/2020), che potrebbe risultare non applicabile per trattamenti effettuati con ozono.

Ricordiamo che occorre avvalersi della consulenza di un professionista per verificare la corretta applicazione di quanto previsto dalle linee guida presso la vostra azienda e per poter redigere un corretto protocollo di Sanitisation.

COVID-19 – Linee di indirizzo per la tutela della salute negli ambienti di lavoro non sanitari

La Regione Toscana ha emanato delle linee di indirizzo per l’applicazione del Protocollo Condiviso di  regolamentazione  delle  misure  per  il contrasto  e  il  contenimento  della  diffusione  del  virus  Covid-19  negli  ambienti  di  lavoro del 14 marzo scorso, nelle aziende non sanitarie che proseguono la loro attività. Si tratta di norme di comportamento valide per tutti gli ambienti di lavoro, cui ogni azienda può aggiungere ulteriori misure di prevenzione, qualora lo ritenga necessario.

Viene resa obbligatoria la sanificazione periodica di ambienti ed attrezzature di lavoro. La sanificazione delle attrezzature e delle superfici a fine giornata di lavoro dovrà essere registrata.

Riportiamo alcuni estratti:

Il datore di lavoro assicura la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica degli spogliatoi e delle aree comuni. La periodicità della sanificazione verrà stabilita dal datore di lavoro in relazione alle caratteristiche ed agli utilizzi dei locali, con l’RSPP e il medico competente, previa consultazione con le rappresentanze sindacali aziendali (RLS,RSU, RSA).

Qualora lo ritenga necessario, il lavoratore potrà procedere autonomamente alla sanificazione delle parti di dispositivi e apparecchiature con le quali viene a contatto. Tale sanificazione non deve in nessun caso considerarsi sostitutiva di quella primaria.

Il datore di lavoro, in collaborazione con l’RSPP e il medico competente, previa consultazione con le rappresentanze sindacali aziendali (RLS, RSU, RSA) valuterà la necessità e la periodicità di una sanificazione straordinaria di tutti gli ambienti di lavoro.

Ricordiamo che occorre avvalersi della consulenza di un professionista per verificare la corretta applicazione di quanto previsto dalle linee guida presso la vostra azienda e per poter redigere un corretto protocollo di Sanitisation.

Pubblicate le linee guida dell’SNPA sui trattamenti di disinfezione in aree esterne

Si è molto discusso nei giorni passati sull’effettiva utilità degli interventi di sanificazione ambientale nelle aree esterne. A questo proposito, molti colleghi impegnati sul fronte delle disinfezioni coinvolti dalle amministrazioni comunali, hanno prontamente interpellato le associazioni di categoria affiché esprimessero tutti i loro dubbi sui metodi di intervento legati, principalmente ma non solo, ad un corretto utilizzo dei prodotti di disinfezione.

In data 14 Marzo 2020 il Ministero della Salute, interpellato da ANID, risponde a queste richieste affermando che l’attività di sanificazione delle strade non è prevista dal DPCM, quindi non è presente la linea guida; inoltre l’utilizzo di sostanze come il cloro, dannose per l’ambiente acquatico, potrebbe rappresentare un problema dal punto di vista di tutela ambientale.

A questa prima importante indicazione, in linea per altro con il pensiero della rappresentanza più rilevante dei professionisti del settore, ha fatto seguito un documento ufficiale dell’Istituto Superiore di Sanità, emanato in data 17 Marzo 2020, dove vengono riportate tutte le evidenze scientifiche già segnalate nel nostro precedente articolo e i relativi riferimenti bibliografici. In conclusione, viene ribadito che mentre si conferma l’opportunità di procedere alla ordinaria pulizia delle strade con saponi/detergenti convenzionali (assicurando tuttavia di evitare la produzione di polveri e aerosol), la disinfezione risulta invece una misura per la quale non è accertata l’utilità, in quanto non esiste alcuna evidenza che le superfici calpestabili siano implicate nella trasmissione di SARS_CoV-2, ponendo specificatamente l’accento su tutte le possibili conseguenze ambientali e sanitarie che l’utilizzo, indiscriminato, ripetuto e diffuso, dell’ipoclorito di sodio potrebbe causare.

In data odierna, 18 Marzo 2020, il Consiglio del Sistema Nazionale per la Prevenzione dell’Ambiente (SNPA) approva un documento con indicazioni tecniche relativamente agli aspetti ambientali della pulizia degli ambienti esterni e dell’utilizzo di disinfettanti nel quadro dell’emergenza sanitaria.

Questo documento fa proprie le indicazioni espresse dall’ISS, ribadisce la pericolosità del ripetuto rischio di esposizione della popolazione all’ipoclorito di sodio e stablisce le linee guida fondamentali per una corretta esecuzione di un intervento di sanificazione in aree esterne a carratere straordinario.

È un concetto che merita di essere approfondito: l’amministrazione comunale è tenuta ad eseguire questi interventi solo se lo ritengono necessario, per finalità di tutela della salute pubblica. Le operazioni di sanificazione dovranno essere a completamento, non in sostituzione, delle normali attività di pulizia delle strade e non ripetute indiscriminatamente.

A questo punto, vengono definite le linee guida per l’esecuzione degli interventi: lavorare in prossimità delle superfici da trattare per minimizzare la dispersione, niente soffiatori meccanici per le operazioni di pulizia prediligendo le spazzatrici, intervenire preferibilmente sulle superfici pavimentate dotate di rete fognaria mista o dedicata alle sole acque meteoriche, evitare in ogni modo l’eccessiva distribuzione dell’ipoclorito ma limitarsi ad una leggera bagnatura della strada, evitare aree prossimali a fossi, corsi e specchi d’acqua, cosí come alle colture.

Dettate le linee guida, si torna però a sottolineare come non siano ancora state chiarite le misure di prevenzione e protezione fondamentali per salvaguardare la salute dell’uomo e l’ambiente e che, soprattutto, debbano essere preventivamente individuate le caratteristiche delle miscele e delle sostanze chimiche impiegate, ai fini della classificazione, etichettatura e imballaggio (requisiti dettati dal Regolamento CE n. 1272/08).

Alla luce di tutto questo, in aggiunta alle considerazioni dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Piemonte (ARPA) e riportate anche dall’ISS, non possiamo che raccomandare a gran voce che queste azioni massive non vengano intraprese, privilegiando piccoli interventi mirati alle superfici dure di contatto (quali panchine, corrimano, pensiline, bidoni), evitando dispersioni e applicazioni con attrezzature non idonee (atomizzatori, termonebbiogeni) e rendendo tutte le aree off-limits a coloro che non siano preposti all’intervento.

La disinfezione delle aree esterne è davvero efficace ai fini del contenimento del COVID-19?

Le foto delle aree più colpite dal coronavirus SARS-CoV-2 raccontano di interventi di disinfezione spaziali eseguiti nei centri abitati: camion che nebulizzano lungo le strade e una falange di operatori sanitari che indossano pompe spalleggiabili che annebbiano marciapiedi, parchi e piazze; prima in Cina ed in Corea del Sud, adesso in Italia (ma non solo). Innumerevoli consigli ci ammoniscono di lavarci le mani e disinfettare le superfici spesso toccate nelle nostre case. Contestualmente, sanificare adottando il protocollo descritto nel precedente articolo. Ma qual è il modo più efficace per prevenire l’esposizione al virus?

Come altri coronavirus, si ritiene che la sindrome respiratoria acuta grave da SARS-CoV-2, che causa COVID-19, si diffonda più comunemente attraverso goccioline respiratorie invisibili inviate nell’aria quando una persona infetta tossisce o starnutisce. Queste goccioline possono quindi essere inalate da persone vicine o atterrare su superfici che altri toccano, che possono quindi contrarre la malattia quando si toccano gli occhi, il naso o la bocca.

“La buona notizia delle indagini sulla diffusione del coronavirus”, afferma Juan Leon, uno scienziato per la salute ambientale della Emory University, “è che studi precedenti mostrano che disinfettanti domestici comuni, incluso il sapone o una soluzione di candeggina diluita, possono disattivare i coronavirus sulle superfici interne. I coronavirus sono virus avvolti con uno strato di grasso protettivo”, afferma Leon. “I disinfettanti fanno a pezzi lo strato di grasso, il che rende i coronavirus abbastanza deboli rispetto ai norovirus e ad altri virus comuni che hanno un guscio proteico più robusto.”

Quindi, per quanto tempo SARS-CoV-2 rimane in aria o sulle superfici? Dipende.

Secondo una prestampa pubblicata su medRxiv, il virus persiste nell’aria per un massimo di 3 ore o fino a 3 giorni sulle superfici quali acciaio o plastica. Di contro, nella ricerca pubblicata sul Journal of Hospital Infection, i ricercatori hanno scoperto che un coronavirus correlato che causa la SARS può persistere fino a 9 giorni sulle superfici non porose come acciaio inossidabile o plastica. E secondo i rapporti tra cui uno pubblicato ieri su JAMA, SARS-CoV-2 è stato rilevato nelle feci, suggerendo che il virus potrebbe essere diffuso da persone che non si lavano le mani correttamente dopo aver usato il bagno. Infine, il Centro Statunitense per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie afferma che non vi è alcuna indicazione che il virus si possa diffondere attraverso l’acqua potabile, le piscine o le vasche idromassaggio.

Quindi, che dire riguardo agli ambienti esterni? Secondo una varietà di notizie locali da città come Shanghai e Gwangju, in Corea del Sud, il disinfettante più comunemente usato all’aperto è una soluzione diluita di ipoclorito di sodio o candeggina per uso domestico. Ma non è chiaro se la candeggina distrugga i coronavirus all’esterno, sulle superfici e nell’aria. La candeggina stessa si rompe sotto la luce ultravioletta (UV). Inoltre, la luce UV sembra distruggere anche i coronavirus stessi. E l’esposizione al coronavirus dalle superfici esterne potrebbe già essere limitata; d’altronde, nessuno va in giro a leccare marciapiedi o alberi.

Nondimeno, l’utilizzo di disinfettanti ad ampio spettro in ampi spazi potrebbe causare un’enorme quantità di svantaggi. Alcune sostanze (vedi la candeggina) risultano altamente irritanti per le mucose; ciò significa che le persone esposte a disinfettanti nebulizzati, si espongono ad un elevato rischio di contrarre problemi respiratori, tra gli altri disturbi. C’è uno studio, pubblicato nell’ottobre 2019 su JAMA Network Open, nel quale si evidenzia come gli infermieri che regolarmente impiegano disinfettanti per pulire le superfici siano soggetti a maggior rischio di contrarre malattia polmonare ostruttiva cronica. In più, uno studio del 2017 ha collegato l’esposizione ai disinfettanti allo sviluppo dell’asma negli adulti in Germania. Entrambi questi studi hanno riguardato l’esposizione per anni ai disinfettanti.

Tuttavia, il messaggio sembra prendere piede; in una recente trasmissione televisiva della CCTV statale in Cina, Zhang Liubo, un ricercatore del Centro Cinese per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie, ha avvertito il pubblico che “Le superfici esterne, come strade, piazze, prati, non devono essere spruzzate ripetutamente con disinfettanti. Spruzzare disinfettanti su una vasta area e ripetutamente può causare inquinamento ambientale e dovrebbe essere evitato. “

A questo, è doveroso aggiungere che l’utilizzo dei prodotti, siano essi disinfettanti ad ampio spretto, insetticidi o quant’altro, è regolamentato dalle indicazioni riportato sulle etichette. L’uso improprio di tali prodotti e il mancato rispetto di queste indicazioni espone le imprese di igiene ambientale ad un rischio sanzionatorio gravissimo di carattere penale e civile.

L’appello che rivolgiamo alle istituzioni è quindi quello di definire al piú presto una dettagliata linea guida relativa all’esecuzione di questi interventi, e di fornire altresí una solida documentazione scientifica che attesti le evidenze di efficacia in osservanza al rispetto della salute pubblica.

Quindi, attualmente, qual è la strada migliore da percorrere? Dato che il contatto da persona a persona appare la via di trasmissione più probabile per COVID-19, ci dovremmo concentrare su come minimizzare quel contatto. In aggunta, rispettare le raccomandazioni igieniche e comportamentali degli ultimi decreti: restare a casa, rispettare la distanza di sicurezza di un metro se costretti ad uscire, assicurarsi di coprire la bocca con il gomito in caso di tosse e starnuti, lavarsi le mani regolarmente per almeno 20 secondi.

Sembra semplice, lo è, funziona.

L’importanza della disinfezione ai tempi del COVID-19

A seguito dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo su tutto il territorio nazionale, riteniamo utile (se non doveroso), riportare quelle che sono le indicazioni ministeriali utili a ridurre le contaminazioni negli ambienti di lavoro, distinguendo tra locali di interesse sanitario e quelli che non lo sono.

Pulizia in ambienti sanitari

In letteratura diverse evidenze hanno dimostrato che i Coronavirus, inclusi i virus responsabili della SARS e della MERS, possono persistere sulle superfici inanimate in condizioni ottimali di umidità e temperature fino a9 giorni. Un ruolo delle superfici contaminate nella trasmissione intraospedaliera di infezioni dovute ai suddetti virus è pertanto ritenuto possibile, anche se non dimostrato. Allo stesso tempo però le evidenze disponibili hanno dimostrato che i suddetti virus sono efficacemente inattivati da adeguate procedure di sanificazione che includano l’utilizzo dei comuni disinfettanti di uso ospedaliero, quali ipoclorito di sodio (0.1% -0,5%), etanolo (62-71%) o perossido di idrogeno (0.5%), per un tempo di contatto adeguato. Non vi sono al momento motivi che facciano supporre una maggiore sopravvivenza ambientale o una minore suscettibilità ai disinfettanti sopramenzionati da parte del SARS 2-CoV. Pertanto, in accordo con quanto suggerito dall’OMS sono procedure efficaci e sufficienti una “pulizia accurata delle superfici ambientali con acqua e detergente seguita dall’applicazione di disinfettanti comunemente usati a livello ospedaliero (come l’ipoclorito di sodio)”. La stanza di isolamento dovrà essere sanificata almeno una volta al giorno, al più presto in caso di spandimenti evidenti e in caso di procedure che producano aerosol, alla dimissione del paziente, da personale con protezione DPI. Una cadenza superiore è suggerita per la sanificazione delle superficie a maggior frequenza di contatto da parte del paziente e per le aree dedicate alla vestizione/svestizione dei DPI da parte degli operatori. Per la decontaminazione ambientale è necessario utilizzare attrezzature dedicate o monouso. Le attrezzature riutilizzabili devono essere decontaminate dopo l’uso con un disinfettante a base di cloro. I carrelli di pulizia comuni non devono entrare nella stanza. Il personale addetto alla sanificazione deve essere formato e dotato dei DPI previsti per l’assistenza ai pazienti e seguire le misure indicate per la vestizione e la svestizione (rimozione in sicurezza dei DPI). In presenza del paziente questo deve essere invitato ad indossare una mascherina chirurgica, compatibilmente con le condizioni cliniche, nel periodo necessario alla sanificazione.

Pulizia di ambienti non sanitari

In stanze, uffici pubblici, mezzi di trasporto, scuole e altri ambienti non sanitari dove abbiano soggiornato casi confermati di COVID-19, prima di essere stati ospedalizzati dovranno essere applicatele misure di pulizia di seguito riportate. A causa della possibile sopravvivenza del virus nell’ambiente per diverso tempo, i luoghi e le aree potenzialmente contaminati da SARS-CoV-2 devono essere sottoposti a completa pulizia con acqua e detergenti comuni prima di essere nuovamente utilizzati. Per la decontaminazione, si raccomanda l’uso di ipoclorito di sodio 0,1% dopo pulizia. Per le superfici che possono essere danneggiate dall’ipoclorito di sodio, utilizzare etanolo al 70% dopo pulizia con un detergente neutro. Durante le operazioni di pulizia con prodotti chimici, assicurare la ventilazione degli ambienti. Tutte le operazioni di pulizia devono essere condotte da personale che indossa DPI (filtrante respiratorio FFP2 o FFP3, protezione facciale, guanti monouso,camice monouso impermeabile a maniche lunghe, e seguire le misure indicate per la rimozione in sicurezza dei DPI (svestizione). Dopo l’uso, i DPI monouso vanno smaltiti come materiale potenzialmente infetto. Devono essere pulite con particolare attenzione tutte le superfici toccate di frequente, quali superfici di muri, porte e finestre, superfici dei servizi igienici e sanitari. La biancheria da letto, le tende e altri materiali di tessuto devono essere sottoposti a un ciclo di lavaggio con acqua calda a 90°C e detergente. Qualora non sia possibile il lavaggio a 90°C per le caratteristiche del tessuto, addizionare il ciclo di lavaggio con candeggina (o prodotti a base di ipoclorito di sodio).

Pratiche professionali

Fondamentale, adesso, sottolineare che alle buone pratiche igieniche e corrette procedure di pulizia, occorre abbinare un intervento di sanificazione professionale a saturazione volumetrica, piú comunemente detta nebulizzazione.

I prodotti indicati restano disinfettanti ad ampio spettro quali ad esempio formulati composti da sodio ipoclorito, sodio carbonato e sodio tetraborato decaidrato, indicati contro batteri (Gram+/Gram-), funghi e virus (HIV, SARS, ecc..). La velocità di azione del cloro è superiore a quella degli altri agenti ossidanti come ad esempio l’acqua ossigenata e le sue concentrazioni attive risultano tra le più basse rispetto a quelle di altri prodotti del gruppo degli ossidanti.

L’obbiettivo resta quello di abbattere le cariche virali negli ambienti professionali; per far questo, le società specializzate nei servizi di sanificazione e igienizzazione adottano un protocollo di intervento cosí strutturato:

  • Isolare gli ambienti sottoposti a trattamento; le operazioni dovranno essere condotte in assenza di personale e in stato di fermo produttivo.
  • Identificazione dei punti critici quali ad esempio porte, finestre ed altri punti di accesso, servizi igienici, scrivanie, sedie, luoghi di aggregazione preferenziali (banchi alimentari e casse nei supermercati, punti ristoro ed aree mensa nelle fabbriche, ecc..)
  • Elaborazione di un piano di intervento, definendo i flussi operativi (dove inizia, presegue e termina il trattamento) e le operazioni di pulizia successive delle superfici trattate.
  • Allontanare oggetti sensibili dalla struttura oggetto di intervento; togliere almenti sfusi, proteggere documenti cartacei.
  • Assicurarsi che il personale impiegato per le sanificazioni sia dotato di tutti i DPI fondamentali.

Ogni piano dovrà essere elaborato su misura per ogni Azienda interessata, nel rispetto delle singole esigenze. Per avere una indicazione su costi, tempi e modalità potete contattarci ai nostri recapiti, trasmettendo le planimetrie delle aree da trattare.

Analisi spazio-temporale e caratterizzazione del rischio di pesticidi in acque di fusione dei ghiacciai alpini

È stato pubblicato dall’Università di Milano-Bicocca uno studio riguardante il ruolo dei ghiacciai come accumulatori di contaminanti utilizzati per l’agricoltura nella Pianura Padana.

La ricerca, volta a investigare la presenza nei ghiacciai Alpini di una selezione di pesticidi largamente usati in Pianura Padana, è stata realizzata dal gruppo di ecotossicologia di Milano-Bicocca, coordinato da Sara Villa, ricercatrice in ecologia, in collaborazione con il gruppo di glaciologia, guidato da Valter Maggi, docente di geografia fisica e geomorfologia del dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Ateneo.

Grazie all’analisi di una carota di ghiaccio prelevata dal ghiacciaio del Lys, nel massiccio del Monte Rosa, è stato possibile evidenziare una forte correlazione tra gli usi, dal 1996 a oggi, dell’insetticida chlorpyrifos e dell’erbicida terbutilazina nelle aree agricole italiane limitrofe alle Alpi e le quantità ritrovate nella massa glaciale.

Il gruppo di ecotossicologia, inoltre, ha raccolto e analizzato campioni di acqua di fusione da sei ghiacciai alpini (Lys nel gruppo del Monte Rosa, Morteratsch nel Massiccio del Bernina, Forni nel gruppo dell’Ortles Cevedale, Presena nel gruppo della Presanella, Tuckett nel gruppo del Brenta e Giogo Alto nel gruppo del Palla Bianca-Similaun), nei quali lo scioglimento primaverile del manto nevoso determina il rilascio dei contaminanti immagazzinati.

I dati ottenuti hanno rivelato la presenza in tutto l’arco alpino di alcuni pesticidi appartenenti alle categorie degli insetticidi ed erbicidi, confermando così il ruolo dei ghiacciai come accumulatori di contaminanti trasportati in atmosfera e evidenziando una connessione con gli usi agricoli nelle aree limitrofe alle Alpi.

La valutazione del rischio ecologico per la comunità acquatica dei torrenti glaciali alpini indica, quindi, una situazione di rischio per le concentrazioni di chlorpirifos – superiori di quasi cento volte rispetto al valore soglia – presenti nelle acque di fusione di alcuni ghiacciai. La comunità a rischio è quella deimacroinvertebrati, tra i quali i gruppi faunistici più frequenti sono gli insetti, in particolare chironomidi tra cui le specie Diamesa cinerella Diamesa zernyi.

L’entità della contaminazione e la sua distribuzione spaziale – spiega Antonio Finizio, ecotossicologo di Milano-Bicocca – evidenziano l’esigenza di aggiornare le procedure di valutazione del rischio ecologico che considerino anche il trasporto atmosferico a media distanza, attualmente trascurato, ma di fondamentale importanza per la concessione dell’autorizzazione ministeriale relativa alla messa in commercio del prodotto fitosanitario, al fine di proteggere le comunità acquatiche alpine“.

È quanto sostiene lo studio dell’Università di Milano-Bicocca Analisi spazio-temporale e caratterizzazione del rischio di pesticidi in acque di fusione dei ghiacciai alpini, pubblicato sulla rivista Enviromental Pollution.